L´INCONTRO. Ieri è stata inaugurata la nuova aula magna dell’istituto Da Schio intitolata al’avvocato ucciso nel 1979

 

«I giovani abbiano lo spirito di Giorgio»

La vedova Ambrosoli ai ragazzi «Oggi è peggio di quegli anni»

«Intitolare l’aula magna di una scuola a mio marito a 40 anni dalla sua lettera-testamento è una iniziativa fortemente simbolica. Sono questi i momenti in cui Giorgio Ambrosoli è vivo».

Annalori Gorla Ambrosoli, vedova dell’avvocato ucciso nel 1979 per non aver ceduto alle minacce e aver continuato il proprio lavoro di liquidatore della Banca privata italiana di Michele Sindona, era ieri all’istituto “Da Schio” di Vicenza dove è stata scoperta la targa con la quale la scuola ha dedicato l’aula magna al marito.

L’iniziativa rientra in un più ampio progetto di legalità, che ha coinvolto 163 ragazzi delle quinte e proprio una di loro, Stefania Ruffato, ha letto un proprio saggio che ha commosso l’ospite, che l’ha voluta accanto a sé al momento di scoprire la targa realizzata da Salvatore Giancane.

«Oggi, quando vedo i nuovi scandali – afferma Annalori Gorla Ambrosoli – sono preoccupata per i miei nipoti. Spero che abbiano lo spirito di Giorgio, senso di responsabilità, di servizio e certezza dei valori».

Da quando suo marito è morto non è cambiato molto, insomma.

Oggi è peggio, c’è più sfrontatezza. Allora bisognava essere dentro alle vicende per conoscerle, adesso basta accendere il telegiornale. All’epoca, nei salotti, la spregiudicatezza di Sindona era considerata una dote. Tra quelle persone c’era chi oggi si sta comportando allo stesso modo.

Quarant’anni fa esatti trovò la lettera-testamento che suo marito le aveva scritto, in cui sapeva di poter morire, come reagì?

Volevo andare a chiedere a Guido Carli, governatore della Banca d’Italia, di revocargli l’incarico. Poi capii che sarei andata contro il modo di essere di mio marito. Non sarebbe mai tornato indietro, aveva messo in conto tutto, anche il peggio, ma era sereno perché sapeva di avere la coscienza a posto.

Suo marito fu ucciso quattro anni e mezzo dopo. In quel periodo, durante il quale ci furono varie minacce, aveva paura?

Avevo i bambini, dovevamo essere sereni per loro. Poi mio marito sosteneva che con minacce così esplicite non gli sarebbe successo nulla, sarebbe stato come firmare l’omicidio.

Ebbe mai paura per sé o per i ragazzi?

Solo una volta, mentre tornavo dalla spesa, fui avvicinata da un uomo che mi disse “devo parlarle”. Tirai dritto, come mi aveva detto Giorgio. Solo dopo la sentenza realizzai che si trattava di Roberto Venetucci, che avevo visto in gabbia con Sindona al processo.

L’ha mai perdonato Sindona?

Il perdono non scatta all’improvviso. L’importante è fare verità, che gli autori vengano messi di fronte alle loro responsabilità, anche per un perdono più alto.

Al funerale non c’erano politici, cosa pensò?

Fui contenta. C’erano rappresentanti della Banca d’Italia, amici, collaboratori. I politici hanno fatto bene a restare a Roma. Non avevo stima di chi aveva lasciato da solo mio marito.

 

da “Il giornale di Vicenza” – giovedì 26 febbraio 2015