Cabrini e le sue donne
«Tose, giocate a calcio»
Il mister e alcune azzurre ieri ospiti al “Da Schio”
«Da noi 10 mila calciatrici in Germania sono 1 milione»
«È inaccettabile, per un Paese civile come l’Italia, che in alcuni istituti si faccia solo un’ora di ginnastica». E poi, ancora. «Il mio inizio con la Nazionale femminile è stato una scommessa, ma oltre alle difficoltà ho trovato una grande passione spinta dalla voglia di emergere e dalla volontà di imporsi». E infine. «Lungo il cammino abbiamo perso un paio di elementi, perché di fronte al bivio lavoro-sport hanno scelto, per motivi economici, la prima strada». Il campione del mondo Antonio Cabrini, cittì della Nazionale italiana femminile di calcio che domani affronterà la Spagna a Vicenza per le qualificazioni al Mondiale 2015, sa come tenere in pugno l’attenzione degli oltre cento studenti dell’istituto Almerico Da Schio.
L’incontro “Una vita per lo sport, lo sport per la vita” ha avuto come protagonisti anche le calciatrici Alessia Tuttino, Ilaria Mauro e Marta Carissimi. A fare gli onori di casa, il dirigente scolastico Giuseppe Sozzo e il coordinatore del settore giovanile scolastico Valter Bedin, assieme al responsabile regionale della divisione calcio femminile Paolo Tosetto. Un incontro cercato e voluto dal Da Schio visto che l’istituto possiede sia una squadra maschile che femminile di calcio. Cabrini pone l’accento su alcuni concetti chiave: l’importanza delle istituzioni, le differenze di gestione tra un gruppo maschile e uno femminile. «L’Italia è stata tra i primi Paesi a dare spazio al calcio femminile – spiega -. Ma come tecnico, oggi, ho la reperibilità di circa 10 mila associate. In Germania, sono un milione e 300 mila. C’è bisogno di interesse da parte delle istituzioni, dei media e della Federazione». E, riguardo al binomio donne-pallone, commenta: «Raggiungere i risultati con una squadra femminile è più gratificante. Poi, il rapporto con gli uomini è diverso. Tendono a farsi scivolare le cose addosso, mentre con voi donne (platea per la maggior parte femminile) bisogna mediare».
Ma Alessia, Ilaria e Marta hanno saputo spiegare un altro concetto importante: l’importanza dello studio abbinato allo sport. «All’ultimo anno di scuola superiore mi sono trasferita da Udine a Verona – racconta Tuttino -. Ho inseguito il mio sogno, ma mi sono diplomata e poi anche laureata». Carissimi pone l’accento sul lavoro: «Ci consideriamo fortunate perché siamo pagate per fare sport, ma non siamo professioniste e non riceviamo dei veri contributi. Ecco perché, a fronte di un lavoro assicurato, abbiamo perso delle valide giocatrici».
da “Il Giornale di Vicenza”
venerdì, 4 aprile 2014
0